Sclerosi Laterale Amiotrofica: il punto sulla terapia mediante cellule staminali
- Giulia Lodovica Rossin
- 21 giu 2019
- Tempo di lettura: 54 min
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO CARLO BO - DIPARTIMENTO DI SCIENZE BIOMOLECOLARI
Corso di Laurea in Scienze Biologiche
Sommario
Introduzione. 1
CAP 1.0 La Sclerosi Laterale Amiotrofica. 2
1.1 Epidemiologia. 4
1.2 Eziopatogenesi 6
1.3 Caratteristiche Cliniche. 11
1.4 Diagnosi 12
1.5 Trattamento. 15
1.6 La Ricerca Clinica. 16
CAP. 2.0 Studi Clinici con Cellule Staminali 18
2.1 Le Cellule Staminali 18
CAP. 3.0 Modelli staminali per la ricerca e terapia della SLA.. 21
3.1 Cellule Staminali Embrionali - ESC. 21
3.2 Cellule Staminali Pluripotenti Indotte - iPSC. 22
CAP. 4.0 Cellule Staminali e scopi terapeutici 25
4.1 Cellule Staminali Neurali - NSC. 25
4.2 Cellule Staminali Mesenchimali – MSC. 27
CAP. 5.0 Studi che supportano la differenziazione delle MSC in cellule neuronali 30
5.1 Studi che non supportano la differenziazione delle MSC in cellule neuronali 31
CAP. 6.0 Trial Clinici 32
6.1 Obiettivi Terapeutici 34
6.2 Scelta dei Pazienti 35
6.3 Consegna delle Cellule. 37
6.4 Sito di iniezione. 37
6.5 Valutazione Clinica e Follow Up. 38
6.6 Regole Etiche. 41
CAP. 7.0 Cosa dice la Legge?. 42
Conclusione. 45
Bibliografia. 47
Introduzione
La sperimentazione con staminali su pazienti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), argomento che ha sempre destato un elevato interesse scientifico, è iniziata il 25 giugno 2012 con il primo trapianto al mondo di Cellule Staminali Cerebrali Umane (CSN o hNSC dall’inglese Human Neural Stem Cells) scevre da qualsiasi problema etico – morale, poiché provenienti da biopsie di feti deceduti per cause certificatamente naturali, usando le stesse procedure autorizzative e di certificazione della donazione volontaria di organi per trapianto da individui adulti. A questo trattamento sono stati convocati 18 pazienti.
Non sono stati rilevati eventi avversi alla procedura chirurgica o alle cellule trapiantate, comunque non ci sono ancora dati certi sulla reale utilità di questo metodo di cura perché non sono ben chiari i meccanismi che ne regolano la potenzialità terapeutica, la via di somministrazione più adeguata, la dose di cellule da usare ed il tipo di cellule staminali da impiegare. Nonostante ciò, al giorno d’oggi le cellule staminali costituiscono un importante settore di studio in ambito di ricerca terapeutica per la SLA, ed attualmente si sta aprendo la strada al trial clinico di fase II, in cui è previsto il trapianto in 60/80 pazienti SLA, che permetterà di mettere a punto il dosaggio e verificare il grado di efficacia delle Cellule Staminali Cerebrali usate nella fase I.
I fallimenti del passato hanno permesso di comprendere che più che per sostituire i motoneuroni persi, le cellule staminali trapiantate potrebbero avere maggiore potenzialità se usate con funzione di supporto alla sopravvivenza dei motoneuroni esistenti.
In quanto lavoro di tesi, sono stati presi in esame i più recenti aggiornamenti della ricerca scientifica nel campo della terapia staminale applicata alla SLA.
CAP 1.0 La Sclerosi Laterale Amiotrofica
La Sclerosi Laterale Amiotrofica è conosciuta anche con altri nomi, come Morbo di Lou Gehrig, dal nome di un giocatore statunitense di baseball che nel 1939 ne fu colpito; come Malattia di Charcot, dal nome del Neurofisiologo francese Jean Marie Charcot che per primo la descrisse nel 1874 (Festoff, 2001); oppure Malattia del Motoneurone (Motor Neuron Disease, MND).
Analizzando il nome comune, notiamo che le tre parole definiscono tutto: Sclerosi sta per atrofia, Laterale si riferisce ai cordoni laterali del midollo spinale e Amiotrofica significa riduzione della massa muscolare.
Si tratta di una malattia neurodegenerativa fatale, caratterizzata dalla progressiva paralisi muscolare quindi del sistema del “moto”, data dalla perdita di cellule nervose chiamate motoneuroni, che si dividono in motoneuroni superiori ed inferiori.
I motoneuroni superiori (primi motoneuroni o motoneuroni centrali, a livello della corteccia cerebrale) inviano il segnale al midollo spinale, ovvero la cosiddetta via piramidale o corticospinale, dove stabiliscono un contatto con i motoneuroni inferiori (motoneuroni secondari o motoneuroni periferici, a livello del tronco encefalico e del midollo spinale) che partendo dalle corna anteriori del midollo spinale, si prolungano verso la periferia e raggiungono i muscoli con i quali prendono contatto attraverso la sinapsi neuromuscolare, per attuare il movimento (Fig. 1).
I motoneuroni sono responsabili della contrazione della muscolatura volontaria, muscoli preposti al movimento che presiedono anche funzioni vitali come la deglutizione, la fonazione e la respirazione. La degenerazione di queste cellule nervose con l’avanzare della patologia, porta alla morte stessa di queste unità e ciò implica che il cervello non è più in grado di iniziare e controllare i movimenti volontari. Il tutto porta quindi ad una paralisi dei muscoli da loro innervati, risparmiando le funzioni sensoriali, sessuali, sfinteriali e nella maggior parte dei casi quelle cognitive.
Dal punto di vista clinico, il coinvolgimento dei motoneuroni superiori compromette la funzionalità degli arti e porta a spasticità, debolezza muscolare e vivaci riflessi tendinei profondi; mentre il coinvolgimento dei motoneuroni inferiori porta a fascicolazione, atrofia, debolezza, difficoltà nella deglutizione e nella parola fino alla perdita delle capacità di comunicazione verbale, che avviene quando la degenerazione coinvolge i motoneuroni del tronco encefalico.
Con il passare del tempo, i pazienti affetti perdono le abilità fondamentali della sopravvivenza, fino alla perdita della funzione dei muscoli respiratori, che porta alla morte per causa di insufficienza respiratoria.

Figura 1: Rappresentazione dei tipi di motoneuroni.
1.1 Epidemiologia
La SLA ha una prevalenza di circa 4 persone su 100.000 abitanti (Mitchell e Borasio, 2007); l’incidenza (il numero di nuovi casi l’anno) è di 1-2 persone per ogni 100.000 abitanti (Gordon, 2013); il picco di esordio nella maggior parte dei casi si aggira tra la quarta e la sesta decade di età, ma qualsiasi età può essere colpita anche se i casi di SLA giovanile sono rari; inoltre la malattia interessa entrambi i sessi con una lieve prevalenza verso il sesso maschile (Hardiman, 2011), (Grafico 1). È presente un’incidenza uniforme nei paesi occidentali ed in Italia attualmente si stimano poco meno di 400 casi l’anno, con una stima totale di almeno 6.000 pazienti affetti da SLA (Fig. 2).
L’aspettativa di vita dopo la diagnosi è medialmente di 3-5 anni, anche se il suo decorso presenta diverse manifestazioni in ogni paziente che ne è affetto.

Figura 2: Stima dei malati di SLA in Italia; dati calcolati in relazione ai dati di prevalenza forniti dall’EURALS Consortium – Consorzio Europeo Sclerosi Laterale Amiotrofica.

Grafico 1: Grafico età di esordio e sesso su un campione di 416 pazienti SLA.
1.2 Eziopatogenesi
Nonostante i molti studi in atto, la SLA è una malattia per vari aspetti sconosciuta.
I meccanismi fisiopatologici alla base dello sviluppo della SLA sono molteplici e multifattoriali, con il coinvolgimento di una complessa interazione tra caratteristiche genetiche e molecolari.
Ci sono varie ipotesi patogenetiche che potrebbero spiegare l’insorgenza della neurodegenerazione (Fig. 3):
Il danno eccito-tossico legato al glutammato, amminoacido usato dai neuroni, il cui eccesso determina un’iperattività neuronale che può essere nociva. Il glutammato è sintetizzato nelle regioni presinaptiche neuronali ed il suo assorbimento nelle vescicole sinaptiche è facilitato da trasportatori di glutammato vescicolari. In un normale processo sinaptico, il glutammato viene rilasciato nelle fessure sinaptiche, luogo in cui sono attivati da esso i recettori post-sinaptici. In seguito al rilascio esocitico, il glutammato è rimosso dalla fessura sinaptica da proteine trasportatrici di cellule gliali e neuronali. Questo continuo “rilascio/rimozione” dell’amminoacido glutammato, permette di mantenere una concentrazione del gradiente bilanciata, evitando un danno eccitotossico. La corteccia motoria ed il midollo spinale dei pazienti con SLA hanno ridotti trasportatori di glutammato astrogliali, che portano ad avere un aumento di glutammato extracellulare con una sovra stimolazione dei recettori glutammatergici, con conseguente degenerazione neuronale eccito tossica. Il tutto sembra esser causato da un eccessivo influsso di ione Calcio a livello intracellulare che induce alterazioni nella permeabilità della membrana mitocondriale, un firing eccessivo dei motoneuroni ed un inizio di vari processi apoptotici, che sono conosciuti come processi patofisiologici nelle forme di SLA sporadica e SLA familiare;
I radicali liberi e lo stress ossidativo, dove l’accumulo dei ROS (Reactive Oxygen Species) causa molti danni alla struttura cellulare. Il termine “stress ossidativo” serve per indicare un disturbo nell’equilibrio tra la produzione di ROS e le difese antiossidanti delle cellule. La perdita dell’abilità di disintossicare i reattivi intermedi dannosi porta alla morte cellulare. È stato visto da biopsie di pazienti SLA un aumento del danno ossidativo legato, probabilmente, alla mutazione del gene SOD1 che codifica per una proteina antiossidante appartenente alla classe delle ossidoreduttasi, la superossido dismutasi; quindi la sua mutazione può causare questo tipo di citotossicità;
La disfunzione mitocondriale, i quali giocano un ruolo importante nella degenerazione dei motoneuroni perché sono gli organelli responsabili della respirazione cellulare, dell’omeostasi del Calcio e del controllo del processo apoptotico. Difetti nella morfologia dei mitocondri come gonfiore ed aumento delle creste, sono stati trovati nel soma e nell’assone prossimale al muscolo scheletrico dei pazienti SLA (Magranè, 2009);
L’alterazione della struttura assonale e difetti di trasporto sono fattori chiave della patologia. I motoneuroni sono cellule altamente polarizzate con assoni che possono raggiungere anche il metro di lunghezza, quindi sono molto vulnerabili ai danni. Oltre alla trasmissione di impulsi nervosi, gli assoni trasportano anterogradamente anche organelli, lipidi, proteine, RNA ai compartimenti assonali. Il movimento verso il soma è detto retrogrado, fatto da motori molecolari di dineina citoplasmatica; mentre il trasporto verso la struttura sinaptica alla giunzione neuromuscolare è detto anterogrado, condotto sui microtubuli dalla chinesina. Questi tipi di trasporto, anterogrado e retrogrado, nei pazienti con SLA risultano alterati, con perdita dei segnali neurotrofici trasportati con questo meccanismo;
L’infiammazione sistemica e locale, ovvero è stata riscontrata una attivazione microgliale nei pazienti SLA attraverso dimostrazioni in vivo usando la tomografia ad emissione di positroni (PET) e nei tessuti post mortem. È presente una infiammazione locale di macrofagi e linfociti T, insieme ad un aumento periferico di diverse citochine e chemochine, inclusi TNF, IL6, IL1β, e VEGF. Le sostanze infiammatorie che attivano la microglia portano le cellule astrogliali ad avere caratteristiche neurotossiche.
A prescindere dalla eziologia, è possibile distinguere due forme della malattia: una forma familiare ed una forma sporadica.
Nel 5-10% circa del totale dei casi si tratta di forme familiari (Familial Amyotrophic Lateral Sclerosis o FALS), quindi di una malattia mendeliana ereditaria che si trasmette solitamente con modalità autosomica dominante. In misura molto minore, esistono anche forme di SLA familiari autosomiche recessive (Gros-Louis, 2006).
Ad oggi sono stati individuati diversi geni causativi per le forme familiari di SLA.
Tra questi assume particolare importanza la scoperta, nel 1993, del gene SOD1 che mappa sul cromosoma 21 (21q22.1), codificante per l’enzima superossido dismutasi Cu/Zn di tipo 1 (SOD1). Mutazioni a carico di questo gene sono responsabili di circa il 15-20% dei casi di SLA familiare. Questo enzima ha una funzione antiossidante in quanto riduce i livelli di ione superossido, un radicale libero tossico prodotto durante il metabolismo ossidativo cellulare, capace di alterare proteine, membrane e DNA. La perdita di funzione di SOD1 determina un effetto tossico neuronale sia a livello cellulare che nucleare, venendo a meno la protezione del DNA dall’effetto dei ROS. Sono state identificate più di 100 diverse mutazioni a carico del gene SOD1 in grado di causare la malattia. Rimane un mistero, tuttavia, come alterazioni di questo enzima ubiquitario possano produrre un danno così specifico a un tipo particolare di cellula del sistema nervoso. In un primo momento si è pensato che la tossicità fosse collegata a una perdita di capacità delle cellule di combattere i radicali liberi. Successivamente invece è stato ipotizzato che le varie mutazioni conferiscano una certa proprietà tossica e neurotossica all'enzima mutato, un fenomeno che i genetisti definiscono «acquisizione di funzione» (Aebischer, 2008). Caratteristiche cliniche dei soggetti con SLA dovuta a mutazioni del gene SOD1 sono l’insorgenza dei sintomi in giovane età, l’esordio alle gambe e la bassa frequenza di disturbi cognitivi. La durata della malattia inoltre si colloca in un intervallo di tempo che va da 9 mesi a decenni.
Altri geni implicati nella genesi della SLA familiare sono i geni TARDBP, FUS e c9ORF72 (Gordon, 2013).
Il gene TARDBP che mappa sul cromosoma 1 (1p36.2), codifica per la proteina TDP-43, una proteina coinvolta in diversi processi cellulari tra cui la regolazione della trascrizione e dello splicing, il mantenimento della stabilità dell’mRNA e il processamento dei miRNA. Solitamente TDP-43 è localizzata nel nucleo, ma in seguito a danno neuronale, può traslocare nel citoplasma in cui forma aggregati proteici che possono risultare neurotossici (Ajroud – Driss, 2014). Mutazioni del gene TARDBP sono responsabili di circa il 5% dei casi di SLA familiare. Ad oggi sono state identificate più di 40 mutazioni, la maggior parte delle quali coinvolgono la porzione C-terminale della proteina. Caratteristiche cliniche della SLA dovuta a mutazioni di questo gene sono una lunga durata della malattia e un poco frequente deterioramento cognitivo (Gordon, 2013).
Mutazioni del gene FUS che mappa sul cromosoma 16 (16p11.2) sono responsabili di circa il 5% dei casi di SLA familiare. Anche la proteina FUS, come TDP-43, ha normalmente localizzazione nucleare e, a seguito di danno neuronale, può anch’essa traslocare nel citoplasma formando aggregati proteici neurotossici. Sono state identificate più di 50 mutazioni a carico di questo gene e, eccetto una, sono tutte dominanti. Le mutazioni del gene FUS sono responsabili di forme di SLA più severe; infatti gli individui portatori mostrano un esordio precoce della malattia (prima dei 40 anni), primi sintomi che solitamente interessano le braccia ed una sopravvivenza inferiore a 2 anni.
Uno degli ultimi geni causativi ad essere stato identificato è il gene c9ORF72 che mappa sul cromosoma 9 (9p21.2) e codifica per una proteina la cui funzione è tuttora sconosciuta. All’interno del primo introne di tale gene è presente una sequenza esanucleotidica ripetuta. In un individuo sano si hanno meno di 30 ripetizioni, mentre in soggetti affetti da forme familiari di SLA sono state trovate centinaia di ripetizioni. Tali mutazioni sono attualmente riconosciute come le più frequenti cause di SLA familiare, e spiegano circa il 40% dei casi (Gordon, 2013). Il fenotipo derivante è caratterizzato da un esordio di tipo bulbare, esordio tardivo e una più bassa sopravvivenza rispetto ai casi di SLA dovuti a mutazioni dei geni SOD1 e TARDBP, ma soprattutto da un’alta frequenza di deterioramento cognitivo: infatti la maggior parte dei portatori sviluppano un tipo di SLA associata a Demenza Fronto Temporale (FTD) (Sabatelli, 2013).
Tuttavia, circa il 95%, ovvero la maggior parte dei casi di SLA è sporadica (Sporadic Amyotrophic Lateral Sclerosis o SALS). In questo caso si tratta di una malattia multifattoriale, nella quale molteplici fattori possono concorrere simultaneamente allo sviluppo. Tra questi assumono particolare importanza:
Fattori genetici, perché è noto che vari polimorfismi in diversi geni sono associati ad un maggior rischio di sviluppare forme sporadiche di SLA e tra questi troviamo geni coinvolti nella formazione dello spliceosoma (SMN1 e SMN2), nella riparazione del DNA (APEX1 e OGG1), nell’angiogenesi (ANG e VEGF), nel metabolismo lipidico (PON1, PON2, PON3) e altri (Leblond, 2014);
Differenze di genere, visto che il sesso maschile è associato ad una maggiore insorgenza della SLA, la prevalenza della malattia in questo sesso rispetto a quello femminile riflette infatti il rapporto 1.2-1.5:1 (Grafico 1);
Età, in cui il suo avanzamento può essere uno dei fattori implicati nella genesi di forme sporadiche della malattia;
Sostanze tossiche, in cui diversi studi hanno riportato un incremento nel rischio di sviluppare la SLA in lavoratori esposti a metalli pesanti, in particolare il piombo. Inoltre, in letteratura sono riportate delle evidenze che suggeriscono che anche l’esposizione a pesticidi\insetticidi ed il fumo di sigarette e tabacco possono essere un fattore di rischio per questa malattia (Migliore, 2009);
Attività occupazionale come il servizio militare, espone i soggetti ad una continua ed intensa attività fisica, traumi fisici, emotivi e psicologici, agenti virali e sostanze tossiche; tutti elementi che possono concorrere allo sviluppo della malattia;
Attività fisica, con alcuni sport che praticati a livello agonistico, in particolar modo il calcio, sottopongono i soggetti ad una intensa attività fisica e vengono considerati importanti fattori di rischio;
Alimentazione, dove è stato dimostrato come un aumentato indice di massa corporea è un fattore protettivo associato con una più bassa incidenza di SLA e un diminuito rischio di mortalità.

Figura 3: Processi molecolari e cellulari che possono spiegare una possibile insorgenza neurodegenerativa.
1.3 Caratteristiche Cliniche
L’inizio della Sclerosi Laterale Amiotrofica può essere subdolo e i sintomi possono così essere trascurati. I primi sintomi sono lievi e aspecifici, infatti sono spesso confusi con sintomi di altre patologie, e tale fattore ritarda la diagnosi.
Solitamente il fenotipo della malattia viene classificato in base al sito di insorgenza dei primi presagi. Le diverse espressioni fenotipiche possono essere classificate come SLA con esordio spinale e SLA con esordio bulbare. Nel primo caso, il sintomo maggiore è un deficit di forza che coinvolge i muscoli innervati dai motoneuroni localizzati nel midollo spinale e tronco encefalico, come i muscoli degli arti superiori, inferiori, del collo e del tronco. I pazienti interessati presentano molta debolezza muscolare, crampi, fascicolazioni e atrofia. Questo tipo di esordio riguarda circa il 70% dei pazienti. Nel secondo caso, la malattia esordisce con un disturbo progressivo dei muscoli innervati dai motoneuroni localizzati nel bulbo, ovvero nella corteccia cerebrale, che sono responsabili dell’articolazione della parola con conseguente disartria, e della deglutizione con conseguente disfagia. Inoltre, in questa eventualità i pazienti presentano sintomi di scialorrea, ovvero ipersalivazione, a causa della difficoltà nella deglutizione della saliva e debolezza facciale bilaterale inferiore. Questo tipo di esordio riguarda circa il 25% dei pazienti, ed il restante 5% ha un coinvolgimento respiratorio.
Indipendentemente dal sito di esordio (spinale o bulbare), successivamente la debolezza e l’atrofia muscolare si estendono ad altre parti del corpo comportando progressivamente e in tempi diversi la paralisi quasi totale, culminante, a volte, nella sindrome “Locked-in” in cui un cervello del tutto funzionante rimane intrappolato in un corpo completamente paralizzato. All’interno di questo drammatico quadro clinico, gli organi interni, i cinque sensi, le funzioni sessuali e sfinteriali e i muscoli che controllano i movimenti oculari non sono compromessi.
In aggiunta ai sintomi motori, una piccola percentuale di casi, circa il 5-15% dei pazienti manifesta anomalie cognitive e neuropsicologiche caratterizzate da un deficit a carico delle funzioni esecutive (che includono abilità quali la pianificazione, l’inibizione cognitiva e comportamentale e la categorizzazione), del linguaggio, della memoria e del comportamento. In alcuni di questi casi, circa nel 15% dei totali, si riscontra associata alla SLA, la Demenza Fronto Temporale (Fronto Temporal Dementia, FTD), clinicamente caratterizzata da profonde alterazioni della personalità, dell’attenzione, del linguaggio, dell’emotività, della capacità di prendere decisioni (decision making), del comportamento, apatia, mancanza di empatia, irritabilità e disinibizione (Vucic, 2014).
I sintomi respiratori (dispnea, ortopnea), i disturbi del sonno, la cefalea mattutina, la sonnolenza diurna eccessiva, solitamente compaiono in un secondo momento nel corso della malattia e spesso rappresentano la principale causa di morte di questi pazienti.
Come scritto, si può dedurre come la popolazione affetta da questa patologia abbia manifestazioni eterogenee dove i sintomi non hanno la stessa sequenza, progressione o localizzazione; ma variano da paziente a paziente. Una cosa in comune a tutte queste persone però è la progressiva perdita di forza muscolare con la conseguente paralisi. Non bisogna dimenticare che, essendo una patologia degenerativa progressiva e fatale, ci sono delle forti implicazioni psicologiche che spesso causano depressione e ansia nelle persone e nei loro caregivers.
1.4 Diagnosi
Non esiste un marcatore specifico per confermare senza alcun dubbio la diagnosi di SLA, diagnosi molto difficile perché richiede diverse indagini mediche e la valutazione clinica ripetuta nel tempo da parte di un neurologo esperto.
Questa è una malattia “bizzarra” che progredisce lentamente, in cui i sintomi e la loro gravità variano da paziente a paziente e possono essere simili a sintomi di altre patologie. Si è notato che c’è un ritardo di 13/18 mesi dall’inizio della sintomatologia fino alla conferma della diagnosi.
La diagnosi è basata principalmente sull’analisi dei segni e dei sintomi che il medico osserva nel paziente, e su una serie di test che servono per escludere altri disordini. Tra questi, fondamentali sono gli esami di laboratorio, studi elettrofisiologici e di neuroimaging. I medici esaminano la storia medica completa del paziente e di solito conducono esami neurologici a intervalli regolari per valutare se i sintomi come la debolezza muscolare o l’atrofia dei muscoli stiano diventando progressivamente peggiori.
Troviamo:
- El Escorial Criteria: per rendere più facile e standardizzabile la diagnosi di SLA, furono pubblicati nel 1994 dalla “World Federation of Neurology” dei criteri diagnostici chiamati “El Escorial Criteria” che poi furono revisionati successivamente nel 1998 e rinominati “Airlie House Criteria” (Hardiman, 2011). Oltre alla diagnosi, essi sono utili per valutare in modo adeguato la severità della patologia e l’assessment clinico. Questi criteri richiedono una combinazione di segni e sintomi dei motoneuroni superiori (Upper Motor Neuron, UMN) e inferiori (Lower Motor Neuron, LMN) in una o più delle quattro regioni del corpo: cranio bulbare, cervicale (estremità superiori), toracoaddominale e lombosacrale (estremità inferiori). I segni LMN includono debolezza, atrofia e fascicolazioni, mentre i segni UMN includono un aumento dei riflessi muscolari e spasticità. Secondo questi criteri è possibile distinguere la malattia in: “SLA definita”, quando sono presenti segni di coinvolgimento sia del primo che del secondo motoneurone in tre regioni; “SLA probabile”, quando sono presenti segni di coinvolgimento sia del primo che del secondo motoneurone in due regioni; “SLA possibile”, quando sono presenti segni di coinvolgimento sia del primo che del secondo motoneurone in una regione e “SLA sospetta”, quando sono presenti segni di coinvolgimento solo del primo o del secondo motoneurone in una o più regioni.
- Esami del sangue: sono fondamentali e sono i primi esami da svolgere. Devono includere la VES, ovvero la Velocità di Sedimentazione degli Eritrociti; l’elettroforesi delle proteine nelle urine e nel siero; l’analisi per valutare la funzionalità tiroidea (TSH, T3, T4); la misurazione del calcio e del fosfato presenti nel siero; l’emocromo completo; la misurazione della creatina, del glucosio, della vitamina B e dei folati, utili per escludere altre malattie infiammatorie, infettive (HIV), del sangue, tumorali, tiroidee ed autoimmuni.
- Elettromiografia (EMG): test di investigazione utile nei pazienti che possono avere la SLA. È un esame neurofisiologico che rileva l’attività elettrica provocata o spontanea dei muscoli, e consente di rilevare eventuali aree di denervazione, utile per evidenziare segni di sofferenza del secondo motoneurone nei muscoli di braccia e gambe e quindi per confermare la diagnosi.
- Risonanza magnetica nucleare (MRI): è il test di Neuroimaging, altro esame neuroradiologico comune da eseguire. È una procedura non invasiva che utilizza un campo magnetico e onde radio per ricostruire al computer immagini tridimensionali dettagliate del cervello e del midollo spinale. Questo tipo di scansioni sono spesso normali nei pazienti affetti da SLA, ma possono rivelare la presenza di altri problemi come un tumore al midollo spinale, assenza di mielina in certe zone (Sclerosi Multipla), ernia di un disco intervertebrale nella zona cervicale o la spondilosi cervicale, che possono essere causa di sintomi analoghi a quelli della SLA.
- Altri esami e test genetici: altri esami che possono contribuire alla diagnosi della SLA sono la puntura lombare (rachicentesi) che consente l’esame del liquor, ovvero il liquido cerebrospinale, in modo da escludere altre malattie neurologiche, e la biopsia del muscolo e del nervo, utilizzata poco e soprattutto per chiarire la diagnosi in casi atipici. È infine utile e necessaria l’esecuzione di test genetici in quanto come detto precedentemente, almeno il 5% dei casi di SLA è ereditaria o familiare.
Una volta formulata la diagnosi, un rapporto medico-paziente empatico basato su fiducia reciproca e sincerità nella comunicazione, è la miglior arma per affrontare il momento della diagnosi. Se questo rapporto non esiste o il paziente è troppo fragile per sopportare l’angoscia legata ad una prognosi grave, la diagnosi non è comunicata al malato, bensì ai suoi familiari che ricevono la pesante responsabilità di accompagnarlo nella conoscenza di una malattia alquanto misteriosa.
La SLA in genere progredisce lentamente e, se ben monitorata e curata, può consentire una qualità di vita accettabile. La gravità tuttavia varia molto da un paziente all’altro perché diversi possono essere i muscoli colpiti, la velocità del peggioramento e l’entità della paralisi.
Nel singolo malato l’evoluzione deve e può essere valutata solo attraverso il controllo neurologico periodico, solitamente ogni 2/3 mesi, e attraverso la ripetizione degli esami del sangue e di quelli neurofisiologici e neuroradiologici (elettromiografia, risonanza magnetica, spirometria, emogasanalisi, ossimetria, polisonnografia).
È necessario comunque essere molto cauti nel fare delle previsioni. Inoltre, la progressione della patologia può essere monitorata utilizzando delle apposite scale cliniche. Tra quelle più largamente utilizzate ci sono la Amyotrophic Lateral Sclerosis Functional Rating Scale (ALSFRS) e la sua revisione, la Revised Amyotrophic Lateral Sclerosis Functional Rating Scale (ALSFRS-R). È una scala validata, formata la prima da 10 e la seconda da 12 item, ognuno dei quali è espresso con una scala a 5 punti (0-4). I parametri valutati sono: eloquio, salivazione, deglutizione, scrittura (con la mano dominante), alimentazione, utilizzo di utensili, abbigliamento ed igiene personale, capacità di spostarsi o girarsi a letto, deambulazione, autonomia nel salire le scale e respirazione (suddivisa in dispnea, ortopnea e insufficienza respiratoria nella versione revisionata). Ai pazienti si attribuisce un punteggio che va da 0 (massima disabilità) a 40 (funzionamento normale) nella versione originale, o da 0 (massima disabilità) a 48 (funzionamento normale) nella versione revisionata (Cedarbaum, 1999). Un basso punteggio in tale scala è un perditore di una ridotta sopravvivenza.
1.5 Trattamento
Per la sclerosi laterale amiotrofica purtroppo non esiste nessuna cura in grado di guarire la malattia o bloccarne la progressione. La SLA è una malattia cronica che modifica profondamente la vita sia della persona affetta che dei suoi familiari.
Le persone con la SLA non possono fronteggiare la malattia da sole, hanno bisogno degli altri per muoversi, mangiare, comunicare e respirare; tutti bisogni primari che di norma non pesano sulla relazione tra persone adulte, sane e indipendenti. Tuttavia, esiste un farmaco approvato dalla Food and Drug Administration che è il Riluzole Rilutek ®, in Italia conosciuto come Riluzolo. Si pensa che questo farmaco possa ridurre il danno ai motoneuroni in quanto, anche se il suo meccanismo d’azione non è ben chiaro, va ad interferire con le risposte mediate dai recettori NMDA inibendo il rilascio di glutammato dai terminali presinaptici. È stato dimostrato che questo farmaco prolunga la sopravvivenza di 3 o 6 mesi (Rowland, 2001) e può estendere la sopravvivenza soprattutto nei pazienti con SLA ad esordio bulbare. Negli ultimi anni sono stati prodotti nuovi farmaci come il Radicut, approvato dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), che rallenta la degenerazione dei motoneuroni; ed il Guanabenz, farmaco in sperimentazione clinica in ben 24 centri italiani, che rallenta anche esso il decorso della malattia perché agisce sul recettore P2X7, un recettore purinergico a livello cellulare. Infine, studi recenti hanno riscontrato un effetto positivo nell’uso dei cannabinoidi come trattamento di questo genere di patologie perché si innescano meccanismi antiossidanti e neuromodulatori che rallentano la progressione della malattia. Inoltri i cannabinoidi possono essere usati anche per gestire la sintomatologia, ad esempio possono aiutare nel caso di disturbi dell’appetito, dolore, spasticità, insonnia e depressione (Bedlack, 2015). Tutti questi farmaci purtroppo, come riportato, sono medicinali che rallentano solamente il decorso della malattia.
Sono in corso dal 2012 degli studi riguardanti una possibile terapia con le cellule staminali. La sperimentazione di fase I è stata conclusa nel 2016 ed ha confermato la fattibilità e l’innocuità del trattamento con le staminali neurali umane (hNSC). È ora in attesa l’autorizzazione per la sperimentazione di fase II, che ha lo scopo di trovare il giusto dosaggio cellulare da somministrare. In data 21 gennaio 2019, l’AIFA ha recepito il protocollo per la sperimentazione di fase II sulla SLA dal titolo “A phase IIa dose escalation study to evaluate safety and efficacy of human neural stem cell intramedullary spinal cord transplantation in subjects with ALS”.
1.6 La Ricerca Clinica
La ricerca clinica si riferisce a qualsiasi ricerca condotta sull’uomo, sano o malato. L’obiettivo è quello di migliorare le conoscenze sulla malattia, lo sviluppo di nuovi trattamenti ed i metodi diagnostici. Esistono due tipi di studi clinici:
Studi osservazionali: con l’obiettivo di migliorare la conoscenza della malattia e la sua evoluzione nel tempo;
Studi interventistici o clinici: con l’obiettivo di dare una dimostrazione scientifica dell’efficacia e della sicurezza di un nuovo farmaco, di un nuovo dispositivo di trattamento o di una nuova metodologia di gestione nel contesto di una malattia. Questo passo è essenziale per commercializzare nuovi farmaci\dispositivi medici.
Al termine degli studi clinici, i ricercatori impegnati nella conduzione della sperimentazione riferiscono alla comunità scientifica ed alle autorità preposte i risultati ottenuti, e solo a questo punto si può comprendere se la strategia terapeutica in esame ha o meno utilità nel trattamento della SLA.
Lo studio clinico per la sperimentazione di un nuovo farmaco è composto da quattro fasi:
Fase I: è la prima somministrazione della molecola negli esseri umani e lo scopo è quello di verificarne la sicurezza in un piccolo gruppo di pazienti;
Fase II: studia la possibile efficacia di un farmaco in un gruppo poco numeroso di pazienti e per un breve periodo di trattamento, confermandone la sicurezza e determinandone la dose migliore;
Fase III: verifica l’efficacia terapeutica di un farmaco in un gruppo più ampio di pazienti, durante un lungo periodo di tempo, monitorando i possibili effetti collaterali;
Fase IV: studia un farmaco per comprendere i benefici e gli effetti collaterali a lungo termine. Quando viene ottenuta l’autorizzazione, la molecola viene riconosciuta come farmaco;
Fase V: esiste questa fase che è di monitoraggio e di valutazione degli effetti collaterali o complicanze che si verificano in ritardo.
Gli studi clinici devono suddividere in due gruppi i pazienti prescelti: un gruppo a cui verrà somministrato il nuovo farmaco ed un altro gruppo che funzionerà da controllo. A quest’ultimo gruppo verrà dato un placebo, ovvero una preparazione inerte ma dall’apparenza uguale in tutto e per tutto al farmaco da mettere alla prova. I pazienti non devono sapere se stanno ricevendo il farmaco o il placebo e nemmeno i medici devono sapere cosa stanno somministrando, per evitare suggestioni o pressioni involontarie. Alla fine dello studio clinico i risultati devono essere analizzati da una terza equipe medica che non ha partecipato a tutto ciò. Inoltre, devono essere valutati sia i benefici che gli effetti collaterali.
CAP. 2.0 Studi Clinici con Cellule Staminali
Le cellule staminali rappresentano oggi uno dei campi più importanti della ricerca biomedica per lo studio dei meccanismi di sviluppo embrionale, patogenetici e per la messa a punto di nuove terapie cellulari nel quadro di quella che oggi prende il nome di “medicina rigenerativa”. In particolare, la scoperta dell’esistenza di cellule staminali neurali (Neural Stem Cells, NSC) ha rivoluzionato alcuni concetti fondamentali che avevano guidato lo studio del sistema nervoso ed una grande importanza si deve dare a vari studi condotti sulle staminali come farmaco per la patologia della Sclerosi Laterale Amiotrofica.
2.1 Le Cellule Staminali
Le cellule staminali sono le cellule fondamentali di ogni organo, tessuto e cellula del corpo in animali e piante, che partecipano al mantenimento di una corretta omeostasi cellulare.
Sono cellule indifferenziate che ancora non hanno una specifica funzione, se non quella di essere toti-, pluri-, o multipotenti.
Costituiscono una specie di sistema di riparazione dell’organismo e possono dividersi illimitatamente (autorinnovamento o self - renewal) per reintegrare altre cellule e nel loro continuo dividersi mantenere una informazione genetica stabile.
Il concetto di cellula staminale si rifà a due sue importanti proprietà: la capacità di dare origine a tutti i tipi cellulari di un organismo (la differenziazione, il suo potere differenziativo, questa è la loro divisione asimmetrica) e la capacità di dare contemporaneamente origine ad una cellula uguale a sé stessa (è la loro divisione simmetrica, ovvero generano due cellule figlie identiche alla cellula madre), mantenendo così costante il numero di cellule staminali disponibili (Fig. 4).
La loro divisione asimmetrica è una peculiare proprietà biologica che distingue le cellule staminali dagli altri tipi cellulari in cui la divisione mitotica è simmetrica.
Quando le cellule staminali si dividono, generano delle cellule che si amplificano in transito, cioè transitano dal carattere staminale a quello differenziato e amplificano il numero della progenie.
Troviamo le cellule staminali presenti in diversi stadi proliferativi, tutto dipendente dai tessuti, se richiedono molto turn over come per esempio il sangue e l’epidermide; oppure se il turn over è scarso come nel caso di fegato e cervello.
Come accennato prima, in base alla loro apparizione temporale durante lo sviluppo, le cellule hanno la funzione di essere (Fig. 5, 6):
Totipotenti: possono generare tutti i tessuti di un individuo e gli annessi embrionali. Sono considerati tali solo gli stadi precoci dell’embrione, ovvero da 4 -8 blastomeri, prima della compattazione (lo Zigote);
Pluripotenti: cellule con alto potenziale differenziativo in grado di dare luogo ai derivati dei tre foglietti embrionali (ectoderma, mesoderma, endoderma – da essi si originano tutti i tessuti dell’organismo), ma non agli annessi embrionali, infatti non possono originare un individuo completo. Sono pluripotenti le cellule della massa interna della blastocisti, rivestite dal trofoblasto e sono dette anche cellule staminali embrionali (ESC dall’inglese Embryonic Stem Cells). Recentemente è stato scoperto anche un secondo gruppo di cellule pluripotenti, le iPSC, dall’inglese Induced Pluripotent Stem Cells, che sono il risultato della manipolazione in laboratorio, infatti si ottengono riprogrammando mediante l’inserimento di alcuni geni legati alla pluripotenza, cellule mature adulte a cellule simil-ES.
Multipotenti: cellule maggiormente differenziate rispetto alle precedenti, sono in grado di dare luogo a tutti i tipi cellulari del tessuto di appartenenza. Vengono considerate multipotenti le cellule staminali adulte, come le cellule ematopoietiche e mesenchimali, e sono chiamate anche cellule somatiche;
Unipotenti: sono le cellule maggiormente presenti nell’organismo, sono coinvolte nella rigenerazione di un solo tipo di cellula. Sono unipotenti ad esempio gli spermatogoni, in grado di generare solo spermatozoi.

Figura 4: La cellula staminale è in grado sia di replicarsi generando una progenie con le medesime caratteristiche di potenzialità della cellula madre oppure generare una progenie con un potenziale più ridotto [progenitori] che gradualmente differenziano generando delle cellule mature.

Figura 5: Tipologie di cellule staminali presenti durante le varie fasi dello sviluppo di un individuo.

Figura 6: Gerarchia della potenzialità differenziativa delle cellule staminali.
CAP. 3.0 Modelli staminali per la ricerca e terapia della SLA
Ci sono pochi modelli che imitano le patologie umane e comunque, biologicamente parlando, è tutto ancora molto limitato, dato dal fatto che presentano una progressione ed una risposta ai farmaci molto distinta. Di conseguenza, per capire la via molecolare precisa dietro la patogenesi della sclerosi laterale amiotrofica e l’effetto di diversi farmaci e terapie, gli sforzi si sono recentemente concentrati su modelli basati su cellule umane (colture cellulari) derivati da cellule staminali pluripotenti.
3.1 Cellule Staminali Embrionali - ESC
Le cellule staminali embrionali o ESC dall’inglese Embryonic Stem Cells hanno la capacità di dividersi in modo illimitato senza differenziarsi, ed allo stesso tempo possono differenziarsi in cellule derivanti da tutti e tre i foglietti embrionali, ovvero si differenziano in una delle centinaia di tipologie di cellule di cui è fatto l’uomo.
Tali cellule possono infatti essere indotte al differenziamento tramite l’uso di fattori differenziativi e fattori di trascrizione come Oct-4, Nanog, Sox2. Questi sono la rete principale di regolazione che assicura il mantenimento della staminalità, ovvero sono geni protettori di essa perché sopprimono i geni che portano alla differenziazione cellulare.
Importante è il fatto che la stessa plasticità che permette loro di generare molti tipi cellulari diversi, rende il loro controllo una vera e propria sfida (Murry, 2008).
Sono stati scoperti molti fattori di differenziamento e sono disponibili diversi protocolli semplici per la differenziazione delle staminali embrionali in motoneuroni.
Il primo metodo di differenziazione che ha avuto successo per motoneuroni derivati da cellule staminali embrionali di topo, è stato descritto nel 2002, e nel 2005 è stato fatto il primo protocollo per le cellule umane.
Il tutto è stato reso possibile da precedenti scoperte di fattori importanti, come la proteina Sonic Hedgehog, fattori SHH e la delucidazione della sequenza degli eventi di differenziazione che culminano in diverse popolazioni neuronali.
La differenziazione delle ESC in motoneuroni o in altri tipi di cellule come le cellule gliali è stata usata come modello per gli studi sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica delucidando i principali meccanismi della malattia coinvolti nella morte dei motoneuroni.
Nel 2008 sono stati condotti vari studi usando motoneuroni derivati dalle cellule staminali embrionali. Alcuni autori hanno mostrato che altre cellule vicine ai motoneuroni giocano un ruolo importante nella progressione della SLA. Motoneuroni umani che sono stati messi in coltura con cellule gliali di topo portanti la mutazione al gene SOD1, hanno dimostrato di essere sensibili all’ambiente tossico circostante. È stato visto che la tossicità di questi astrociti è generata da una maggiore risposta infiammatoria e dall’attivazione di NOX2, proteina della famiglia dei citocromi che porta alla produzione di radicali liberi (ROS) molto dannosi per la vitalità delle cellule. Questi studi quindi suppongono l’idea che un ambiente tossico contribuisca alla morte dei motoneuroni.
È stato poi descritto un modello basato su cellule staminali embrionali umane per la SLA dove il motoneurone differenziato esprimeva la forma mutante di SOD1 e non furono inizialmente messi a coltura con altri tipi di cellule neuronali. È interessante notare come la mutazione del gene non influisce sul processo di differenziamento, ma è stato osservato un tasso di mortalità significativo tra i motoneuroni differenziati terminalmente, mostrando un meccanismo intrinseco dietro la morte di essi in questa patologia.
I modelli basati sulle staminali embrionali sono di grande importanza per capire non solo i meccanismi patofisiologici dietro la SLA, ma anche per fare uno screening di potenziali molecole terapeutiche.
È stato visto che la semplice sostituzione del motoneurone come terapia cellulare, non sarebbe sufficiente per aggirare la neurodegenerazione; accanto ai meccanismi autonomi della cellula, l’ambiente tossico fornito dalle cellule gliali è dannoso per i motoneuroni e contribuisce alla loro morte.
Anche se tutte queste scoperte rappresentano un grande progresso nella comprensione della SLA, sono limitati ad un solo gene, SOD1.
Sostanzialmente questa patologia coinvolge percorsi multipli, e l’uso delle ESC sembra ancora essere difficilmente realizzabile per il trattamento dei pazienti. Alcuni obiettivi nel campo della medicina sono stati raggiunti, ma altri rimangono solo potenziali per il semplice fatto che le conoscenze sulla sclerosi laterale amiotrofica sono esigue; inoltre controllare la differenziazione delle ESC è molto difficile e possono portare allo sviluppo di neoplasie nei pazienti riceventi.
3.2 Cellule Staminali Pluripotenti Indotte - iPSC
Le cellule staminali pluripotenti indotte o iPSC dall’inglese Induced Pluripotent Stem Cells, sono cellule staminali generate artificialmente nel 2006 in laboratorio, a partire da una cellula somatica adulta come per esempio i fibroblasti, mediante l’introduzione di quattro specifici geni codificanti determinati fattori di trascrizione associati allo stadio di pluripotenza, come Oct4, Sox2, Klf4 e c-myc. Questa tecnica non fa altro che trasformare qualsiasi altra cellula del corpo in una cellula embrionale.
È quindi possibile ottenere cellule staminali pluripotenti direttamente da cellule adulte del paziente, bypassando la grande questione etica – morale riguardo alle cellule staminali embrionali e alla distruzione dell’embrione.
Queste cellule sono molto simili alle cellule staminali embrionali (ESC): il rinnovamento dei telomeri durante la riprogrammazione cellulare in iPSC e l’accorciamento dei telomeri nella differenziazione in cellule somatiche (Gourronc, 2013), la formazione di teratoma, la possibilità di derivazione nei tre tipi di tessuto embrionale, segni epigenetici e livelli di trascrizione, tutte queste similitudini ci portano a dire che le iPSC possono essere considerate cellule staminali embrionali specifiche del paziente quindi, di conseguenza, possono essere usate senza un possibile rigetto e poi non ci sono regole morali a riguardo.
Oltre a tutto le iPSC offrono una grande speranza nel campo della medicina rigenerativa perché è possibile indurre la differenziazione nella maggior parte dei tipi cellulari presenti in un organismo, come ad esempio cellule neuronali, pancreatiche, cardiache. Questa loro proprietà può essere sfruttata nella rigenerazione dei tessuti danneggiati.
I diversi stadi della differenziazione delle iPSC in motoneuroni maturi sono ben caratterizzati. Dopo la loro istituzione, le iPSC sono generalmente indotte a formare corpi embrionali e successivamente, cellule precursori neurali (NPCs). Fattori come SHH e acido retinoico (RA) sono usati per indurre la differenziazione in motoneuroni maturi che può essere distinta dall’espressione di alcuni marker, come Hb9.
La riprogrammazione delle cellule somatiche è comunque un processo stressante perché va contro il corso naturale della vita della cellula. Le iPSC generate portano con sé segni di imprinting dai loro tessuti, ovvero hanno una memoria epigenetica e quindi predispongono le cellule a differenziare in modo preferenziale verso alcuni elementi cellulari.
In uno studio basato sulle cellule di otto pazienti SLA, è stato visto che c’è una riduzione dei livelli della proteina VAPB lungo il percorso di differenziazione in motoneuroni. Questi risultati completano altri studi che hanno mostrato che VAPB è poco espressa nei pazienti SALS e nei topi con la mutazione nel gene SOD1 (Teuling, 2007).
È stato inoltre osservato che gli astrociti derivanti dalle cellule staminali embrionali con la mutazione SOD1 hanno un effetto tossico sul motoneurone, mentre gli astrociti derivanti dalle iPSC che portano una mutazione TDP-43 non mostrano tossicità per i motoneuroni. Tutto questo perché gli astrociti derivati da iPSC di pazienti con la SLA portanti la mutazione TDP-43, muoiono prima degli astrociti derivanti dalle cellule di controllo (Serio, 2013).
Il loro uso diretto come strategia terapeutica è però limitato dal fatto che le modifiche genetiche introdotte per la loro genesi ne determinano un alto potenziale tumorigenico e per questo motivo, negli anni, il loro uso ha avuto particolare sviluppo negli studi in vitro.
Attualmente molti studi stanno valutando l’utilizzo delle iPSC come modello sia per lo studio dei meccanismi che sottendono alla patologia, sia per valutare l’efficacia di nuovi trattamenti.
CAP. 4.0 Cellule Staminali e scopi terapeutici
Le cellule staminali sono state considerate a scopi terapeutici in varie patologie per le quali non è disponibile un trattamento efficace. Per quanto riguarda una possibile terapia per la SLA, i tipi di cellule staminali più studiati sono le cellule staminali neurali e le cellule mesenchimali.
4.1 Cellule Staminali Neurali - NSC
Le cellule staminali neurali o nervose, CSN o NSCs dall’inglese Neural Stem Cells, sono cellule staminali multipotenti del tessuto nervoso. La sigla può essere anche hNSC, dall’inglese Human Neural Stem Cells, perché derivanti dal tessuto nervoso fetale post mortem.
Negli organismi in via di sviluppo si differenziano in cellule del sistema nervoso centrale (SNC) sia neuronali che non, e in un organismo adulto hanno un ruolo importante per quanto riguarda l’apprendimento e la plasticità ippocampale, perché sono localizzate nella zona sottogranulare dell’ippocampo (SGZ) e nella zona sottoventricolare (SVZ), luoghi in cui si verifica la neurogenesi adulta (Fig. 7).
Sono stati condotti molti studi che valutano un possibile potenziale terapeutico delle NSC nella SLA. Recentemente, un’analisi usando modelli di topi transgenici SOD1, è stata eseguita da un consorzio di undici investigatori indipendenti SLA. In tale esperimento le NSC trapiantate sia nei topi che negli umani, sono state in grado di rallentare la perdita delle funzioni motorie e di migliorarne la sopravvivenza. L’effetto benefico del trapianto di queste cellule è stato mediato da una varietà di processi, inclusa l’abilità delle cellule di produrre fattori trofici, il conservare le funzioni neuromuscolari, e la riduzione dell’infiammazione.
Le NSC sono anche state usate in un trial clinico di fase I conclusosi nel 2012 dal NeuralStem in cui dodici pazienti SLA hanno ricevuto dieci iniezioni totali a livello lombare di 10.000 cellule per iniezione. I pazienti sono stati seguiti per 18 mesi dopo il trattamento e non c’era nessuna evidenza della progressione della patologia a causa dell’intervento (Glass, 2012). La fase II del trial clinico è stata conclusa nel 2013 attestando la sicurezza di iniezioni a livello cervicale e toracolombare nel midollo spinale con le stesse cellule.
Le NSC sono resilienti alla trasformazione, inoltre sono geneticamente e funzionalmente stabili, sebbene alcune hanno un moderato grado di instabilità cromosomica. Queste cellule possono essere espanse con almeno 30 passaggi senza trasformazioni e senza generare tumori. Esperimenti preclinici usano l’impianto intraparenchimale delle NSC vicino ai motoneuroni, suggerendo che questa potrebbe essere una strategia promettente per i pazienti SLA.
Vari studi, usando roditori con mutazione SOD1, hanno mostrato che l’impianto di NSC può integrarsi con il tessuto, differenziarsi in astrociti, oligodendrociti e neuroni. Dopodiché questo tipo di trapianto può rallentare la degenerazione dei motoneuroni, migliorare i sintomi e prolungare la vita (Teng, 2012).
In generale i meccanismi riguardanti gli effetti positivi includono la sostituzione diretta dei neuroni, un miglioramento della sinaptogenesi, il mantenimento delle funzioni neuromuscolari ed infine la stimolazione della neurogenesi endogena. Una cosa molto importante è che studi condotti su animali hanno mostrato che oltre alla sostituzione cellulare ed all’azione neurotrofica, le hNSCs possono ridurre l’astrogliosi, la microgliosi e l’infiammazione (Giusto, 2014).

Figura 7: Sviluppo delle cellule staminali neurali.
4.2 Cellule Staminali Mesenchimali – MSC
Le cellule staminali mesenchimali o MSC dall’inglese Mesenchymal Stem Cells sono cellule staminali adulte, immature ed indifferenziate che derivano da midollo osseo.
Hanno origine nel mesoderma, foglietto embrionale della blastocisti che si trova tra ectoderma ed endoderma. Questo tipo di tessuto da cui originano, genera linee tessutali per lo più connettivali. Le cellule staminali mesenchimali essendo in una fase adulta, non sono totipotenti, ossia non generano tutte le linee cellulari del corpo, bensì multipotenti, ovvero generano solo i tipi cellulari connettivali e non altri tessuti di diversa derivazione embrionale. Le MSC infatti producono le diverse tipologie di cellule che compongono il tessuto scheletrico: possono differenziarsi in condrociti (cellule della cartilagine); osteoblasti (cellule delle ossa) e adipociti (cellule del grasso) (Fig. 8).
In accordo con l’International Society for Cellular Therapy, ci sono tre criteri su cui basarsi per definire le cellule staminali mesenchimali umane:
Le MSC devono mostrare proprietà di adesione in condizioni normali di coltura;
Le MSC in coltura devono esprimere le molecole di superficie CD105, CD73, CD90 e una piccola espressione di CD45, CD34, CD14, CD11b, CD79a, CD19 e HLA-DR;
Le MSC devono differenziarsi in vitro in osteoblasti, adipociti e condrociti.
Il prominente potenziale rigenerativo di queste cellule conferisce loro il ruolo di rigenerare i tessuti, infatti si dividono ciclicamente e le cellule neoformate si sostituiscono a quelle che presentano segni di invecchiamento tramite dei recettori di membrana, oppure alle cellule danneggiate.
Alcune ricerche in fase iniziale sembrano suggerire che le MSC potrebbero essere in grado di differenziarsi anche in tipi cellulari che non appartengono al tessuto scheletrico, come cellule nervose, cellule del muscolo cardiaco, cellule del fegato e cellule endoteliali che formano lo strato più interno dei vasi sanguigni. Questi risultati mancano tuttavia di conferma.
Le MSC si possono isolare da molte fonti, dove le più conosciute sono il midollo osseo ed il tessuto adiposo. Le cellule mesenchimali derivate dal midollo osseo sono ampiamente usate come terapia in molte patologie umane per il loro potenziale di replicarsi come forme indifferenziate, e per differenziarsi in linee multiple. Inoltre, è stata dimostrata la loro sicurezza.
La differenziazione delle MSC in neuroni e cellule gliali è stata riportata da vari autori in studi sia in vitro che in vivo (Kim, 2002; Woodbury 2002). Molti laboratori studiano le cellule mesenchimali umane in coltura in cui le nuove condizioni consistono di un mezzo di mantenimento del progenitore neurale contenente fattori di crescita come hFGF, hEGF, NSF-1; così le MSC acquistano una nuova caratteristica morfologica e proprietà elettrofisiologiche, che sono suggestive di una differenziazione neurale.
Le MSC umane quando sono trapiantate nel midollo spinale dei topi con mutazione SOD1, proliferano e migrano determinando una significativa riduzione della gliosi reattiva, e attivano la microglia con conseguente miglioramento dei test comportamentali (Vercelli, 2006). Questa loro abilità di promuovere il recupero neurale comporta un uso clinico nelle malattie neurodegenerative; infatti sono usate nella SLA. Inoltre, possiedono diversi meccanismi, come la produzione di fattori neurotrofici; la stimolazione di angiogenesi e sinaptogenesi; la fusione cellulare.
Mentre la più conosciuta fonte di MSC è il midollo osseo (BM-MSC), queste cellule si ottengono anche dal tessuto adiposo del cordone ombelicale (WJ-MSC) e queste ultime sono usate più spesso nelle terapie per i pazienti con sclerosi laterale amiotrofica.
Le MSC, che derivano da diverse fonti, possiedono peculiari caratteristiche eventualmente correlate alla loro origine evolutiva, all’età del donatore e al metodo di isolamento. A causa della loro origine quasi fetale, le MSC neonatali o precoci post-natali, permettono di effettuare un trapianto allogenico senza la necessità di un gravoso trattamento immunosoppressivo, dove questo tipo di trapianto evita la reintroduzione dei difetti genetici correlati alla malattia del paziente.
Comparate con le cellule mesenchimali del midollo osseo (BM–MSC), le cellule mesenchimali del tessuto adiposo del cordone ombelicale (WJ-MSC) hanno mostrato l’iperespressione di geni coinvolti nel supporto neurotrofico, nella maturazione dei neuroni, nell’adesione cellulare, nella proliferazione e nella funzione del sistema immunitario (Donders, 2018).
Isolare le MSC dal grasso è molto semplice, minimamente dannoso ed è ben tollerato dai pazienti anche in caso di cachessia. Le MSC degli adipociti (AD-MSC) comparate a quelle del midollo osseo (BM-MSC), sono soppressori più efficaci della risposta immune, probabilmente a causa della loro maggiore abilità a stimolare le cellule dendritiche a secernere l’IL-10. Inoltre, esprimono geni altamente coinvolti nella comunicazione cellulare e nel controllo della trascrizione.
Studi recenti hanno mostrato che le AD-MSC le WJ-MSC, se criopreservate e coltivate in vitro per lunghi periodi come tempi maggiori di tre mesi, mantengono la stabilità genetica con tassi bassi di senescenza e di aberrazioni cromosomiche (Chen, 2014).
C’è un urgente bisogno di standardizzare protocolli generali per ottenere un effetto terapeutico più unificato. Il percorso più efficiente sembra essere l’iniezione intraspinale con la migrazione delle cellule verso il tessuto leso.
Molti studi hanno evidenziato che, con l’iniezione intracerebroventricolare di MSC del tessuto adiposo del cordone ombelicale e MSC degli adipociti, si sono ottenuti risultati positivi, come il miglioramento della funzione motoria; la perdita attenuata dei motoneuroni ed un miglioramento della sopravvivenza.
Poiché la migrazione delle cellule innestate al midollo spinale non è ben documentata, gli effetti positivi osservati sono legati ai livelli aumentati di fattori neurotrofici, come il fattore di crescita nervoso NGF (Nerve Growth Factor), il fattore neurotrofico BDNF (Brain Derived Neurotrophic Factor), IGF1 (Insulin Like Growth Factor), VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor), GDNF (Glial Cell Derived Neurotrophic Factor) e FGF2 (Fibroblast Growth Factors). Nel SNC queste molecole promuovono effetti positivi come la stimolazione dell’intrinseca sopravvivenza autocrina, la produzione dei neuriti e la guida assonica. Favoriscono inoltre una giusta connessione nervosa nel cervello e nel midollo spinale, influendo su dendriti e formazione sinaptica ed anche sulla proliferazione, migrazione e differenziamento delle cellule staminali in cellule del sistema nervoso adulto in via di sviluppo.

Figura 8: Differenziamento delle Cellule Mesenchimali nei vari tipi cellulari
CAP. 5.0 Studi che supportano la differenziazione delle MSC in cellule neuronali
Le cellule staminali mesenchimali si possono differenziare a favore di un fenotipo neuronale.
Come scritto nel capitolo precedente, sono stati fatti molti studi su modelli animali in vivo per verificare la sopravvivenza delle MSC, il differenziamento e la loro integrazione dopo il trapianto nelle zone danneggiate del Sistema Nervoso Centrale (SNC). Il differenziamento di queste cellule verso un lineage neuronale è stato suggerito dall’espressione di proteine gliali, come la proteina GFAP (Glial Fibrillary Acid Protein, proteina fibrillare acida della glia) e proteine neuronali come quelle che compongono i neurofilamenti. Sono stati inoltre svolti studi di localizzazione di queste cellule dopo il loro trapianto, in modo da esprimere la proteina fluorescente GFP (Green Fluorescent Protein) per individuarle in modo facile. Si è visto così che l’infusione endovena di MSC murine marcate con la GFP in topi adulti irradiati determina, a livello cerebrale, lo sviluppo di cellule derivate dal donatore ed esprimenti proteine astrogliali e neuronali (Brazelton, 2000).
Altri lavori hanno dimostrato che il trapianto di MSC nel cervello di topi a cui è stato provocato un infarto cerebrale, garantisce la sopravvivenza di molte cellule trapiantate in grado di persistere a lungo nella parte sana per poi migrare nella parte lesionata e differenziarsi in astrociti o neuroni (Chen, 2001).
Purtroppo, nei sistemi in vivo è difficile seguire il destino differenziativo e la localizzazione delle MSC trapiantate, quindi è fondamentale verificare la plasticità fenotipica e comprenderne i meccanismi attraversi gli studi in vitro.
Alcuni esperimenti mostrano che solo una piccola porzione di MSC umane potrebbero essere indotte ad esprimere marcatori tipici neurali, in particolare la Nestina (proteina dei filamenti intermedi espressa nei precursori neurali) e Neu-N (proteina nucleare specifica dei neuroni); nonché di cellule gliali come GFAP quando messe in coltura in presenza del fattore di crescita EGF e di acido retinoico (RA), o di una combinazione di fattori neurotrofici come BDNF e RA.
Sono inoltre stati messi a punto dei protocolli in grado di indurre l’80% di MSC umane a differenziarsi in cellule esprimenti caratteristiche neuronali, usando un terreno costituito da DMEM (Dulbecco’s minimal essential medium) e diverse combinazioni di β-mercaptoetanolo (BME), dimetilsulfossido (DMSO) e idrossianisolo butilato (BHA). Le MSC trattate in questo modo esprimevano proteine neuronali quali Neu-N, NF-M e Tau1 (Jiang,2010).
Malgrado questi dati ci forniscono prove solide e convincenti sulla differenziazione delle MSC in cellule del sistema nervoso, ci sono comunque molti dubbi sulle reali potenzialità differenziative delle MSC nella cura delle patologie neurodegenerative, come nel nostro caso la SLA.
Molto importante è l’ambiente esterno ed il suo rilascio di fattori neurotrofici, che gioca un ruolo essenziale nel differenziamento di queste cellule staminali.
5.1 Studi che non supportano la differenziazione delle MSC in cellule neuronali
Parallelamente agli studi esposti in precedenza, ci sono anche studi che sostengono l’incapacità delle MSC di differenziarsi verso un lineage neuronale.
Per quanto riguarda gli studi in vitro, le critiche riguardano i metodi svolti per promuovere il differenziamento neurale. Molti scienziati hanno dimostrato che l’esposizione a certi agenti chimici come gli agenti antiossidanti, provoca un aumento dei livelli intracellulari di cAMP, forzando così le MSC ad adottare una morfologia simil-neurale e di conseguenza ad esprimere varie proteine neurali come la Nestina e GFAP. Questa condizione risulta però essere reversibile, con delle tempistiche che discordano con un reale processo fisiologico che potrebbe avvenire all’interno delle MSC trapiantate in vivo (Neuhuber, 2004). L’uso di certi agenti ossidanti inoltre, promuove la distruzione della rete di actina delle cellule staminali.
Anche a livello del loro profilo proteico e di geni attivati, si è visto che le cellule mesenchimali sottoposte a trattamenti che ne inducono il differenziamento, attivano dei geni ed esprimono delle proteine diverse rispetto a quanto riscontrato nelle cellule neuronali (Bertani, 2005). Quindi da tutte queste affermazioni, è normale pensare che la morfologia simil–neurale delle MSC è imputabile agli effetti collaterali degli agenti usati piuttosto che al loro reale differenziamento.
Oltre agli aspetti morfologici, è stata criticata anche l’espressione di certe proteine neuronali, in quanto i marcatori presi in considerazione non mostrano un alto grado di specificità. La Nestina ad esempio, non è espressa solo nel tessuto neurale, ma anche in diversi tessuti mesodermici; analogamente la proteina GFAP ed i neurofilamenti sono espressi dai condrociti della cartilagine fibrosa ed elastica, ed in alcuni fibroblasti in vari tessuti connettivi (Hainfellner, 2001).
Comunque sia, l’espressione di alcune proteine neurali da parte delle MSC non è una prova sufficiente del loro differenziamento in neuroni, tuttavia rimangono sempre una fonte di speranza nella terapia per la sclerosi laterale amiotrofica.
CAP. 6.0 Trial Clinici
Prima che una nuova terapia possa essere somministrata ai pazienti, le ipotesi scientifiche che hanno portato alla messa a punto del nuovo trattamento devono essere dimostrate in modalità controllate e simulate in laboratorio. Si deve condurre cioè una ricerca preclinica per ottenere risultati che dimostrino l’efficacia della cura nei confronti della malattia. Gli studi preclinici hanno lo scopo di determinare le caratteristiche farmacologiche delle nuove molecole, sia con ricerche sugli animali, sia con studi sperimentali su cellule anche dei malati (i cosiddetti studi “in vitro”). La durata degli studi preclinici è in media di tre/cinque anni o anche di più, e meno del 50% delle molecole provate in animali o in laboratorio passa, per il suo potenziale terapeutico, alla sperimentazione sull’uomo.
Nel caso della Sclerosi Laterale Amiotrofica gli animali maggiormente usati come modello di sperimentazione sono i topi con mutazione SOD1, ed è proprio grazie ad essi che si è giunti ad attuare una terapia con le cellule staminali.
Le idee riguardanti possibili terapie con le cellule staminali hanno suscitato da sempre molto interesse nei ricercatori, nei medici e nei pazienti affetti da patologie risultanti incurabili con i farmaci attuali. Gli studi preclinici si sono basati su tutte le cellule staminali, preferendo certi tipi di staminali per capire i meccanismi biochimici e fisiologici della patologia ed altri modelli da usare in una terapia, con lo scopo di correggere i danni.
Il primo requisito per l’uso delle staminali è che devono, nelle applicazioni cliniche, soddisfare le competenze riguardanti la loro sicurezza e allo stesso tempo devono poter essere facilmente isolabili, riproducibili e stabilmente espanse ex vivo.
Per questi motivi, gli esperimenti nell’uso terapeutico si sono focalizzati sul possibile uso di tre tipi di cellule staminali: le iPSC, le NSC e le MSC.
Per quando riguarda le iPSC, l’idea che si possano differenziare in cellule staminali neuronali (NSC) è affascinante. Le iPSC si possono ottenere dalle cellule del paziente stesso, cosa ottima visto che possiedono lo stesso sistema MHC (Major Histocompatibility Complex - Complesso Maggiore di Istocompatibilità), quindi non ci può essere un rigetto. Un recente lavoro ha generato e purificato una specifica popolazione di NSC da iPSC umane. Dopo l’iniezione intratecale e\o endovena di queste cellule in un topo con mutazione SOD1, le NSC hanno migrato e si sono innestate nel sistema nervoso centrale (SNC) mostrando un miglioramento delle funzioni neuromuscolari ed un significativo avanzamento della durata della vita. Questi effetti positivi sono legati a meccanismi multipli, come la produzione di fattori neurotrofici e la riduzione di microgliosi e macrogliosi. In accordo con questi studi, una iniezione di NSC derivate da iPSC potrebbe esercitare effetti terapeutici positivi nei pazienti affetti da SLA, ma nonostante le diverse prove precliniche, l’uso terapeutico di cellule derivate dalle iPSC è ancora oggi un problema molto dibattuto perché in primo luogo, la sicurezza di questo metodo deve ancora essere del tutto accertata poiché tali cellule hanno un potenziale tumorigenico ben noto; in secondo luogo ci sono molti protocolli di riprogrammazione con diversa efficacia e bisogna tener conto del fatto che le cellule non differenziate rappresentano un rischio serio che porta allo sviluppo oncogeno.
Soffermandoci sulle cellule staminali mesenchimali (MSC), i test preclinici hanno tutti affermato la sicurezza e la fattibilità dell’uso di queste cellule nella terapia. Con le MSC è possibile svolgere sia un trapianto autologo, perché le cellule che si ottengono dal midollo osseo dei pazienti SLA hanno mostrato la stessa espansione e potenziale differenziativo delle cellule ottenute dai controlli sani; sia allogenico, dato dal fatto interessante che le MSC hanno un “privilegio immunologico”, ovvero possono modulare entrambe le immunità, sia l’immunità innata che l’immunità adattativa, attraverso il loro rilascio di molecole come il Fattore H, che inibisce il sistema del complemento e quindi evita il meccanismo di rigetto; la prostaglandina, che supporta le funzioni delle cellule Natural Killer (NK) e PD1\PDL1, che inibisce i linfociti B. La maggior parte dei trial clinici è stata fatta usando le cellule staminali autologhe (cellule derivanti dal paziente stesso) del midollo osseo, soprattutto le BM-MSC (Bone Marrow - Mesenchymal Stem Cells) perché possono essere ottenute in modo facile dal paziente ed espanse bypassando i vincoli etici e morali, inoltre evitano il rigetto immunologico. Le MSC sono state testate in più fasi I e II dei test clinici per la SLA ed il loro trapianto intraspinale; intratecale; intracerebrale; endovena e\o intramuscolare sono sicuri e non hanno mostrato la formazione di tessuto ectopico a lungo termine (Mazzini, 2012). È stata eseguita la fase I del trial clinico con dieci pazienti SLA dove le MSC autologhe del midollo osseo sono state trapiantate nel midollo spinale a livello toracico, ed i pazienti sono stati regolarmente monitorati prima e dopo il trapianto eseguendo valutazioni psicologiche, radiologiche e neurofisiologiche. Questo studio ha confermato che il trapianto di MSC nel midollo spinale umano è sicuro.
Infine, riguardo le cellule staminali neurali (NSC), nel tempo gli scienziati hanno documentato le capacità di integrazione e l’efficacia terapeutica delle NSC umane in modelli preclinici di roditori con malattie neurologiche, inoltre è stato anche dimostrato che, quando impiantate per via endovenosa o via intratecale, queste cellule staminali migliorano la patofisiologia dei tratti neurologici in un modello sperimentale di encefalomielite autoimmune, sia nei roditori che in primati non umani. Una conclusione chiave di questi esperimenti è che le NSC impiantate si sono integrare e sono sopravvissute come cellule astrogliali che hanno effetto attraverso il rilascio di fattori di crescita e molecole immunomodulanti.
Nel 2009 la FDA (Food and Drug Administration) ha approvato il primo trial clinico di fase I nell’uomo, testando la fattibilità e la sicurezza del trapianto diretto di singole concentrazioni di hNSC derivate dal midollo spinale umano, nel midollo spinale dei pazienti con SLA.
Nel 2011 l’Istituto Italiano Superiore di Sanità (ISS) e l’Agenzia italiana del Farmaco hanno approvato la fase I del trial clinico per la SLA dove le hNSC sono state isolate ed espanse dal tessuto fetale umano ottenuto da aborto spontaneo e impiantate in 18 pazienti SLA con la degenerazione dei motoneuroni inferiori in tre regioni del cordone: cervicale, toracica e lombare; usando protocolli standard per il trapianto di interi organi, poiché non vi era alcuna esperienza precedente con l’immunogenicità del trapianto di cellule staminali derivate dal feto allogenico nel sistema nervoso. Questi studi hanno dimostrato la fattibilità e la sicurezza delle hNSC (Mazzini, 2015).
I pazienti scelti per questo studio erano cinque femmine e tredici maschi, con età media di 48 anni, reclutati tra il 2012 ed il 2015. Nessun paziente ha presentato effetti collaterali gravi, alcuni hanno avuto un miglioramento motorio nei primi mesi dopo il trapianto, e per questi motivi c’è stata l’approvazione dell’ISS per continuare il processo con iniezioni più complesse nel midollo spinale.
Comunque sia, il numero di trial clinici eseguiti usando cellule staminali per la SLA è molto piccolo. A partire da Gennaio 2018, sono stati riscontrati al modo 34 trials clinici, cui cinque non sono stati conclusi; sedici sono stati portati a termine ma solo il risultato di nove di essi è stato pubblicato in una rivista scientifica; ed i restanti sono invece attivi.
Tutti i trial completati sono in Fase I\II e reclutano pochissimi pazienti. Tra i tredici trials attivi, solamente due sono randomizzati in doppio attraverso controlli con un placebo.
6.1 Obiettivi Terapeutici
Dato il fatto che non sono ben chiari i meccanismi alla base dell’insorgenza della SLA; che l’unica causa di danno identificata non presente però in tutti i pazienti affetti è la mutazione del gene SOD1 codificante la superossido dismutasi; e che è ben consolidato il fatto che ci sono tipi cellulari intimamente associati ai motoneuroni come astrociti, oligodendrociti, microglia, cellule immunitarie o, più in generale il microambiente cellulare gioca un ruolo critico nell’insorgenza e nello sviluppo della malattia, la terapia cellulare si basa sulla sostituzione dei motoneuroni danneggiati, attraverso il microtrapianto di cellule staminali, dove l’obiettivo primario è quello di valutarne la sicurezza e la fattibilità.
6.2 Scelta dei Pazienti
I criteri per eseguire la terapia con le cellule staminali sono:
la diagnosi di Sclerosi Laterale Amiotrofica sporadica in accordo con i criteri di El Escorial;
età compresa tra i 20 ed i 75 anni;
compromissione funzionale da lieve a grave a livello della colonna vertebrale;
nessuno o lievi segni di coinvolgimento bulbare;
nessun segno di insufficienza respiratoria;
normale polisonnografia;
buona comprensione del protocollo sperimentale;
normale profilo psicologico definito dai test di Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI) (Butcher, 1989).
I pazienti esclusi, quando presentano malattie psichiatriche o neurologiche diverse dalla SLA, malattie concomitanti oppure hanno ricevuto qualche medicazione che potrebbe influire sull’operazione chirurgica, o anche perché hanno problemi cognitivi che non li rendono capaci di comprendere il modulo di consenso del trial e gli obiettivi dello studio. I criteri per la selezione\esclusione dei pazienti sono riportati nella Tabella 2.
Le ragioni più frequenti di esclusione sono una spirometria con scarsi risultati; disturbi di claustrofobia durante l’esame della risonanza magnetica o necessità di ventilazione assistita e patologie diverse dalla SLA come malattie cardiache, autoimmuni o infettive.
Dato che la sicurezza piuttosto che l’efficacia è stata la questione principale nelle prove precliniche, c’è un po’ di rischio nell’adottare questi trials, rischio che deve essere bilanciato rispetto ai valori scientifici.
Nel 2015 in Italia nell’Ospedale di Terni, è stato terminato il trapianto di hNSC nel diciottesimo paziente SLA. L’impostazione dello studio è stata un’iscrizione sequenziale di sei pazienti per volta, eseguito il tutto per tre volte, per un totale di 18 pazienti con diagnosi di SLA. Nel primo gruppo erano presenti pazienti con grave disabilità negli arti inferiori e sono stati sottoposto ad una iniezione di cellule staminali a livello lombare; mentre nel secondo e terzo gruppo vi erano pazienti con autonomia funzionale, quindi si trattava di pazienti ambulatoriali, e sono stati sottoposti ad una iniezione a livello cervicale (Tabella 3). La concentrazione di hNSC per ogni infusione è stata di 50,000 cellule/µl, con un totale di nove iniezioni nel primo e secondo gruppo; mentre nel terzo gruppo solamente sei. In occasione, la comunità scientifica si aspettava che questo trattamento fosse popolare non solo per i media, ma anche tra molti malati speranzosi. Per smaltire la grande mole di richiesta di partecipazione che ci si aspettava, è stato predisposto un numero verde ed un sito web in cui gli esperti hanno esaminato tutte le candidature ed invitato a colloquio nelle città di Padova e Novara i pazienti risultati idonei, fino all'esaurimento dei posti.

Tabella 2: Criteri della selezione dei pazienti.

Tabella 3: Gruppi dello studio clinico, sito di iniezione, dosaggio cellulare e numero di iniezioni.
6.3 Consegna delle Cellule
Come abbiamo visto, alcuni trial usano le MSC ed altri le hNSC, entrambe somministrate con iniezione intraparenchimale che ha il vantaggio di introdurre le cellule vicino al bersaglio terapeutico, quindi favorisce la diffusione di fattori trofici e immunomodulanti.
Nell’iniezione con le hNSC, le cellule sono state prelevate da campioni di tessuto cerebrale fetale proveniente dal lobo frontale di feti con un periodo di gestazione superiore alle otto settimane post concepimento, con un consenso informativo scritto della madre. Sette-dieci giorni dopo la prima coltura, le neurosfere formatesi sono state raccolte e dissociate meccanicamente e risospese nello stesso mezzo di coltura usato per la coltura di routine, senza EGF ed in presenza solo del fattore di crescita dei fibroblasti di base. Questo step è stato ripetuto 17 volte. Durante tutti questi passaggi, sono state conservate delle aliquote di cellule per essere criopreservate, ovvero conservate a bassissime temperature (tra -80°C e -196°C) ed appena il paziente è ritenuto pronto per il trattamento, le cellule sono scongelate e sottoposte a procedure di espansione fino ad ottenere il prodotto finale per l’inoculazione.
Il trapianto di MSC richiede anche esso l’espansione di cellule in coltura prima dell’iniezione. Sebbene sia stato dimostrato che le MSC siano meno inclini ad avere anomalie genetiche e trasformazioni maligne durante i vari passaggi eseguiti in vitro, ci sono studi che mostrano che le MSC possono subire una trasformazione maligna dopo l’espansione in vitro (Wang, 2005).
Oggi, nell’assenza di studi di confronto, il migliore percorso di consegna delle cellule rimane incerto.
6.4 Sito di iniezione
L’iniezione intraspinale (o intratecale) delle cellule staminali è una procedura sicura e può facilitare la loro migrazione attraverso i neuroassi, poiché le cellule siano collocate vicine al tessuto danneggiato. Tuttavia, questo tipo di iniezione è una procedura rischiosa e può portare a diversi effetti collaterali, infatti il sito di immissione è in fase di sviluppo e standardizzazione, allo scopo di ridurre i possibili effetti collaterali della chirurgia e di ottimizzare la procedura, permettendo la consegna delle cellule lungo tutto il midollo spinale con una sola iniezione.
Per quanto riguarda invece l’iniezione endovena, è una tecnica semplice che presenta pochissimi rischi, ma nonostante ciò molte cellule potrebbero raggiungere altri tessuti come polmoni e linfonodi, interferendo così con l’omeostasi e riducendo il numero totale di cellule disponibili per l’attecchimento sul tessuto danneggiato.
6.5 Valutazione Clinica e Follow Up
Il primo parametro preso in considerazione nella terapia è stata la salute dei pazienti a breve e a lungo termine dopo l’intervento. Per stimare il tasso di progressione della malattia prima della procedura chirurgica, i pazienti hanno avuto un periodo della durata di circa sei mesi\un anno di osservazioni della loro storia naturale e sono stati monitorati ogni mese con valutazioni cliniche che constatano la loro FVC (capacità vitale forzata). Nel trial clinico italiano iniziato nel 2012, i pazienti arruolati presentavano una FVC maggiore del 60%, ovvero avevano meno complicanze con procedure assistenziali minori (Miller, 2009).
Dopo il trapianto di cellule staminali i pazienti sono stati accuratamente monitorati per un lungo tempo, fino alla loro morte, allo scopo di notare possibili effetti collaterali come reazione allergiche, tachicardia, febbre, insufficienza respiratoria, complicazioni locali nel sito di iniezione (ematomi e infezioni post operazione), paralisi o perdita parziale di sensibilità. Potenziali controindicazioni a lungo termine includono la formazione di tumori intraspinali, perdita di sensibilità permanente o paralisi sotto il sito di iniezione, non collegata alla naturale progressione della malattia.
Inoltre, la valutazione neurologica per vedere la progressione del danno ai motoneuroni si basa sulla Risonanza Magnetica dell’encefalo e del midollo spinale usando il mezzo di contrasto Gadolinio e viene eseguita prima del trattamento, 21 giorni dopo e successivamente 3, 6, 9, 12 mesi. Sono stati eseguiti anche i potenziali evocati motori prima e dopo l’intervento; ad ogni visita i pazienti hanno avuto incontri con gli psicologi per accertare il profilo degli stati dell’umore e la qualità della vita, si sono sottoposti alle analisi del sangue di routine e a test per epatite B o C, HIV e TBC prima e dopo l’operazione, infine hanno eseguito anche il prelievo del liquor (liquido cefalorachidiano) al momento dell’intervento per fare analisi biochimiche standard. Cosa molto importante, è il fatto che il liquor dei pazienti SLA non presenta anomalie.
Per quanto riguarda il follow up del trial clinico eseguito il Italia nel 2015 con le hNSC, visite cliniche tra i 6 ed i 18 mesi successivi all'intervento non hanno mostrato segni di progressione della malattia dovuti al trattamento. I risultati dopo l’iniezione di hNSC a livello cervicale e\o toracico sono riportati in Tabella 4.
In generale, i risultati ottenuti dai 18 pazienti prescelti sono i seguenti:
un paziente ha manifestato cambiamenti di umore con sintomi depressivi nel periodo post-chirurgico a causa del poco supporto e della poca assistenza fornitagli dalla famiglia;
un paziente ha sviluppato insufficienza respiratoria acuta transitoria il giorno dopo l’intervento;
un paziente ha sviluppato il diabete sette giorni dopo l’iniezione, ed è stato sottoposto ad una cura insulinica a lungo termine;
due pazienti svilupparono la polmonite 270 e 120 giorni dopo l’intervento. Uno di essi è guarito dopo una terapia antibiotica; mentre l’altro paziente ha dovuto subire una tracheotomia;
due pazienti hanno subito una tracheotomia per la progressione naturale della malattia;
undici pazienti sono morti a causa della malattia.
Comunque, l’intervento non ha accelerato il decorso naturale della malattia, in particolare:
due pazienti hanno avuto un miglioramento nei muscoli prossimali degli arti inferiori a partire dal primo mese dopo l’operazione, durato fino al sesto mese. Entrambi soffrivano di un fenotipo giovanile, ma uno dei due ha avuto una rapida progressione della malattia prima del trapianto che si è attenuata dopo l’intervento ed ha ottenuto un andamento stabile nei vari test per circa sei mesi;
quattro pazienti hanno avuto miglioramenti negli arti superiori, avendo mantenuto le abilità nel tagliare il cibo, manipolare utensili, scrivere, medicarsi, vestirsi ed eseguire l’igiene personale;
un paziente ha avuto una diminuzione della rigidità degli arti inferiori e superiori per circa tre mesi dopo l’intervento, e soffriva di un fenotipo con una forma lentamente progressiva;
cinque pazienti hanno riportato miglioramenti clinici nella deambulazione che sono durati fino a sei mesi dopo la somministrazione delle staminali.
Un evento avverso comune e atteso è stato un dolore post-operatorio acuto, correlato solamente alle procedure chirurgiche, come mostrato nella Tabella 5. Infine, in tutti i pazienti la risonanza magnetica ha rivelato un’aspettata raccolta di fluido extradurale presso il sito di chirurgia, risoltosi spontaneamente in un periodo di tre/sei mesi (Fig. 9).


Tabella 5: Eventi avversi nei pazienti coinvolti nel trial clinico italiano di hNSC.

Figura 9: Immagini di risonanza magnetica eseguita nel follow up del trial clinico italiano. Risonanza eseguita 1, 3, 6, 12, 18, 24, 30 mesi dopo l’iniezione di hNSC. Presenza nei primi mesi di fluido extradurale. No conseguenze nel midollo spinale.
6.6 Regole Etiche
Sono molte le linee guida pubblicate per la ricerca delle staminali che sottolineano l’etica degli acquisti, della derivazione, delle banche dati, della distribuzione e dell’uso di cellule e tessuti, e contribuiscono a garantire la sicurezza del paziente nel processo di ricerca.
La terapia cellulare per la SLA è ancora oggi un esperimento, e le cliniche commerciali operano in tutto il mondo spesso senza alcun regolamento etico e morale verso i pazienti affetti. Per tali motivi si verifica al giorno d’oggi un “turismo medico” dei pazienti con Sclerosi Laterale Amiotrofica, che sono particolarmente vulnerabili e sentono di non avere nulla da perdere. Queste cliniche senza regole sono spesso organizzazioni private che promuovono i benefici terapeutici con le cellule staminali e si basano soprattutto sulle MSC, e generalmente offrono poche o zero garanzie di competenza, qualità delle cure o standard etici.
Una regola etica importante nella ricerca delle cellule staminali è rappresentata da una appropriata comunicazione tra paziente e dottore esperto di un centro SLA. Non bisogna dare ai malati aspettative ingannevoli, bensì una attenta ed accurata presentazione dello stato della ricerca e dei risultati raggiunti con la terapia delle staminali. Dopodiché il paziente informato deve riflettere bene sul fatto che la procedura è solamente sperimentale e potenzialmente dannosa, e decidere se entrare nella sperimentazione oppure no. La legislatura e la medicina devono proteggere i pazienti vulnerabili dai ciarlatani e dalle “cliniche di cellule staminali”.
CAP. 7.0 Cosa dice la Legge?
Le staminali a causa della loro potenzialità terapeutica hanno assunto un ruolo importante non solo nei laboratori di ricerca, ma anche a livello sociale e politico.
Il primo ottenimento di cellule staminali embrionali umane (hESC) è avvenuto nel 1998 partendo da una blastocisti sovrannumeraria, e tale avanzamento della scienza ha portato da subito governi e società ad alimentare dibattiti etici su cosa fosse una blastocisti e su come usarla.
Questo ottenimento di hESC implicò la distruzione della blastocisti. Per molti fu un omicidio, perché si tratta di una fase embrionale tipica dei mammiferi che si ritrova dal 4° al 14° giorno dopo la fecondazione; ma per altri fu un atto legittimo per il pensiero che le blastocisti sono delle strutture più piccole di un millimetro formate da poche centinaia di cellule dalle quali però si possono ottenere informazioni importanti per capire ed aumentare la speranza di numerosi pazienti con certe patologie incurabili con i farmaci presenti finora.
Tutt’oggi questo dibattito è molto acceso e se ne sente parlare quasi ogni giorno, con riflessioni etiche, religiose, sociali e filosofiche, che insieme alla scienza animano i diversi paesi ed i pensieri dei cittadini del mondo, che ambiscono un punto in comune per attuare ricerche fondamentali che mirano a ridurre le sofferenze umane.
Questa varietà di posizione si riflette sulla Legislatura dei vari paesi del mondo.
In Gran Bretagna è legale usare embrioni umani per la ricerca medica, ma con leggi rigorose perché non è possibile usare embrioni fecondati dopo le due settimane, inoltre è possibile creare embrioni umani in seguito al consenso dei donatori e ricavarne cellule staminali per la ricerca medica. Nel 2004 è stata istituita la prima banca mondiale di cellule staminali embrionali “UK Stem Cell Bank”, costituita da un finanziamento pubblico di 60 milioni di euro. Nel 2007 l’autorità britannica per la fertilizzazione e l’embriologia ha dato il via libero alla creazione di embrioni chimera, cioè contenenti materiale genetico sia umano che animale al solo fine di produrre cellule staminali a scopo di ricerca.
In Spagna è autorizzata la ricerca medica sugli embrioni non vitali, ma non è consentita la creazione di embrioni umani a questo scopo. È poi permessa la clonazione terapeutica solo se realizzata partendo dagli embrioni sovrannumerati e con il consenso dei donatori.
In Belgio il parlamento ha approvato una legge che autorizza la ricerca con gli embrioni umani e la clonazione terapeutica. Gli embrioni in vitro su cui è consentita la ricerca però non possono superare i 14 giorni di sviluppo al momento del loro congelamento.
In Irlanda è proibita la ricerca sugli embrioni umani e la produzione di embrioni a scopi non riproduttivi.
In Svezia è presente una legge sulla riproduzione assistita e sull’uso di embrioni umani estesa poi alla ricerca delle staminali che prevede restrizioni come il consenso da parte dei donatori di sperma e ovociti; il divieto di lavorare con embrioni che hanno superato i 14 giorni di età e la ricerca sugli embrioni non può determinare cambiamenti genetici ereditari.
In Svizzera la legge sulle cellule staminali embrionali prevede che i ricercatori ottengano un’autorizzazione da parte dell’ufficio federale della sanità pubblica; l’approvazione della commissione d’etica ed il consenso delle coppie dalle quali sono state prelevate delle cellule. L’autorizzazione deve essere rilasciata solo per un progetto di ricerca ben preciso.
In USA, nel 1995 Bill Clinton firmò una legge che rese illegali i fondi federali per la ricerca sulle cellule staminali ottenute con la distruzione dell’embrione. Nel 2006 George W. Bush firmò il veto della legge che avrebbe permesso l’uso di fondi federali per la ricerca su cellule staminali ottenute dalla distruzione dell’embrione. Nel 2009 Barack Obama rimosse i limiti al finanziamento pubblico alla ricerca sulle staminali embrionali decisi da Bush.
Per quanto riguarda l’Italia, secondo la legge n. 40\2004 non è legale usare embrioni per la ricerca medica. Tale legge stabilisce che è possibile ricorrere alla Procreazione Medicalmente Assistita solo se si tutela anche l’embrione umano. Per questo motivo è vietata una serie di attività che lo riguardano ed in particolare la produzione di embrioni a fini non procreativi; la ricerca sugli embrioni in sovrannumero; la crioconservazione e la diagnosi preimpianto degli embrioni; gli interventi di clonazione compiuti a fini procreativi e di ricerca; la donazione di embrioni; la selezione a scopo eugenetico di gameti ed embrioni, e la produzione di ibridi o di chimere. Nel nostro paese la ricerca clinica e sperimentale è consentita solo con finalità di tutela della salute e dello sviluppo dell’embrione stesso, inoltre non è consentito creare embrioni esclusivamente per la ricerca medica. Nel 2017 ci sono stati dei cambiamenti a questa legge, come: è stato eliminato il divieto di produrre più di tre embrioni; è stata introdotta la possibilità di crioconservare degli embrioni e la possibilità di diagnosi genetica preimpianto. Rimane comunque il divieto di utilizzare gli embrioni per la ricerca scientifica e quello di donare gli embrioni; ma non è presente nessuna legge che vieta di comprare embrione all’estero e di eseguire su essi degli studi, avviando le cosiddette “collaborazioni scientifiche”.
Per quanto riguarda invece le cellule staminali adulte, dal punto di vista bioetico e legislativo vantano uno status meno complicato perché non implicano la distruzione del donatore, come invece avviene nelle hESC in cui si distrugge la blastocisti.
I casi riscontrati si possono condurre in tre tipologie:
Cellule staminali prelevate da individui adulti: il donatore è in grado di dare direttamente il proprio consenso al prelievo dei tessuti;
Cellule staminali prelevate da “tessuti di scarto”: come le cellule staminali del cordone ombelicale, in cui i genitori devono fornire il proprio consenso alla donazione. Le cellule staminali estratte dal cordone ombelicale verranno crioconservate in biobanche per essere usate dal primo paziente biologicamente compatibile che abbia necessità di trapianto. In Italia la Legislatura vieta la conservazione esclusivo per l’uso futuro da parte del nascituro o di suoi parenti, ma fanno eccezione a questa normativa i casi di accertata possibilità di avere o poter sviluppare patologie che necessitano delle proprie staminali cordonali per autotrapianti. Esistono però delle società site al di fuori del territorio italiano, come nello Stato di San Marino ed in Svizzera, che prelevano e conservano le staminali del sangue cordonale per uso personale. Al momento della nascita queste ditte si recano all’ospedale, tutto a pagamento, per prelevare la placenta ed il cordone ombelicale e trasportarli nelle loro sedi, in cui verrà effettuato il prelievo delle staminali e la loro crioconservazione;
Cellule staminali prelevate da feti abortivi: la madre al momento della procedura abortiva, nei termini previsti dalle normative vigenti e nei casi di aborto spontaneo, può decidere di dare il consenso alla donazione del materiale abortivo per l’uso in ambito di ricerca.
Conclusione
Lo scenario delle cellule staminali è tanto complesso quanto affascinante.
Queste cellule sono le prime a comparire dopo l’incontro tra ovulo e spermatozoo e ci accompagnano per tutta la vita: dallo zigote all’individuo adulto. Inizialmente formano il nostro corpo e tutti gli annessi embrionali perché totipotenti, con il passare dei giorni si ha un altro tipo di cellule staminali che concludono il lavoro svolto dalle staminali iniziali, ovvero formano solo le cellule di tutti i tessuti di cui siamo fatti perché pluripotenti, e via via nel crescere queste cellule maturano per originare solo piccole parti del nostro corpo. Quando per esempio ci feriamo nella mano, compare la classica “crosta” e dopo un po' di tempo il danno si è sistemato: ritorniamo ad avere il piccolo pezzo di tessuto lesionato grazie alle cellule staminali, che rappresentano un serbatoio di nuove cellule e garantiscono il ricambio di quelle vecchie o danneggiate.
I vari tessuti/organi di un individuo che vanno incontro ad un continuo rinnovo, come retina, seno, intestino, epidermide, testicoli, muscoli e midollo osseo, contengono una certa quantità ed un certo tipo di cellule staminali pronte a riparare i danni. Per tutti questi motivi le cellule staminali rappresentano il futuro della medicina, perché la scienza le sta studiando per attuare terapie a base di esse per malattie al giorno d’oggi incurabili.
Un campo medico molto interessato alle staminali riguarda la malattia neurodegenerativa della sclerosi laterale amiotrofica. Questa patologia è fatale, porta alla morte del paziente in pochi anni dall’esordio.
Al giorno d’oggi sono in atto delle sperimentazioni usando le cellule staminali mesenchimali e neurali, con la speranza che aiutino questi pazienti a vivere più a lungo, ritardando o assestando i danni ai motoneuroni. Un esempio italiano è il trial clinico di fase I iniziato nel 2011 e concluso nel 2015, in cui sono state trapiantate le hNSC nel midollo spinale di 18 pazienti affetti da SLA. I risultati sono stati positivi, infatti è stato rilevato un declino transitoria della progressione della malattia, iniziato il primo mese dopo l’intervento e durato fino a circa sei mesi dopo; e per di più, il 50% dei pazienti ha riportato un miglioramento funzionale transitorio nella stessa finestra temporale. Questi risultati, insieme agli scarsi effetti collaterali, hanno mostrato che il trapianto di cellule staminali neurali è un processo sicuro che non causa effetti deleteri a breve e a lungo termine. Questo studio è il primo esempio di trapianto medico di farmaco altamente standardizzato che può essere riprodotto e stabilizzato ex vivo. Le seguenti affermazioni supportano lo svolgimento della fase II del trial, in cui si determina il numero ottimale di cellule da iniettare; per quanto tempo le cellule rimangono attive nell’uomo; i criteri per la selezione dei pazienti e l’efficacia delle cellule staminali.
Sebbene tutti i risultati siano positivi, importante è sottolineare che il numero di pazienti è troppo limitato per trarre conclusioni definitive che approssimano gli effetti neurologici o funzionali. Inoltre, se i miglioramenti sono la conseguenza dell’impianto di hNSC o se sono provocati da altri fattori, rimane ancora da determinare.
La scoperta delle cellule staminali e soprattutto delle cellule staminali neurali, è stata per il mondo scientifico una rivoluzione. È positivo attuare una possibile terapia basata su di esse, ovviamente eseguita in modo idoneo senza dare false speranze, ovvero se le cellule staminali sono usate in modo inadatto, è possibile avere effetti collaterali mortali come l’insorgenza di un tumore, inoltre non sono ancora ben conosciuti i possibili effetti collaterali a lungo termine perché la terapia è presente da poco tempo per essere documentati. È stato visto finora che la terapia cellulare ha portato buoni risultati, mostrando chance per il futuro, ma ancora nessun paziente è guarito.
Sono stati fatti molti passi in avanti, ma servono ancora altri step, soprattutto per quanto riguarda la diagnosi di SLA, che viene diagnosticata dopo circa 14 mesi e, attuando nuovi protocolli, i pazienti potrebbero avere una valutazione in meno tempo con maggiori possibilità di recupero.
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